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Il fortunale

Aggiornamento: 26 set 2024

Il fortunale è quell'evento inaspettato e disastroso che può riguardare ognuno di noi. La forza per saperlo superare è data dalla capacità di saper opporre a quel disastro tutta la nostra fermezza, il nostro coraggio, la nostra forza d'animo.

Questo è quanto accade al nostro Capitano che riesce così a superare la sua prova più difficile.


Il fortunale


Il Capitano chiuso nella sua cabina stringeva il suo timone mentre il suo sguardo attento  andava oltre l'ammasso indefinito di nubi che si profilava all'orizzonte.


C'era in quel cielo qualcosa di inconsueto, di inaffidabile; qualcosa che il suo intuito aveva percepito e catalogato come "pericolo".


Chiamò il suo secondo per un consulto


-  Dica Capitano

-  Hai notato niente di strano? - gli chiese


- È una tempesta - rispose


Lo guardò pensieroso.

Il marinaio è un "animale" attento che usa oltre i mezzi  che ha a disposizione tutta la sua esperienza; i suoi sensi palpano,  captano,  cercano e scorgono ciò che  la tecnologia non può vedere.


Prese il suo barometro, la pressione si avvicinava a 950 hPa di li' a poco sarebbe iniziato il finimondo.

Il vento di scirocco era sempre più impetuoso e violento. Le sue folate facevano oscillare paurosamente la nave.


Il Capitano subito ordinò ai suoi uomini di ammainare le vele perché il vento avrebbe certamente spezzato gli alberi, poi disse di alleggerire le stive gettando in mare gran parte delle scorte di viveri ed infine imparti' l'ordine di sgombrare per quanto possibile il ponte e di preparare le lance per abbandonare la nave.


Ebbe appena il tempo di guardare il mare che sembrava gonfiarsi. Vide i primi fulmini lacerare l'aria e sentì un violento scroscio d'acqua sul viso.


In quel momento dell'imbrunire si vedeva ad ovest l'ultimo squarcio di sole filtrare tra cumuli di nembo strati per poi perdersi agonizzante nel cielo.


La pressione stava scendendo ancora!

La nave veniva spinta come un legno piegandosi pericolosamente.


Ordino' al suo secondo di lasciare il timone, prese il comando e subito cercò di tenere la prora perpendicolare al verso delle onde per evitare che potessero colpire le fiancate.


L'imbarcazione sembrava fosse in balia del mare ed egli si apprestava ad affrontare i peggio. Ogni onda era un uppercut violento che la faceva vacillare, cavalcando i marosi fin quasi ad abissarsi per poi riemergere faticosamente


Si sentiva ormai allo stremo delle forze

e all'ennesimo colpo il timone si spezzò ed egli cadde rovinosamente a terra perdendo i sensi.


La fortuna volle che subito dopo la tempesta si placo'.


Quando riapri gli i occhi sentì in lontananza la voce del suo secondo che lo chiamava: - "Capitano, Capitano".


Riprese conoscenza, ringraziò Dio di non trovarsi al cospetto di Caronte e lentamente si alzò dolorante.


"Siamo vivi!" - disse - "Tutti vivi!" - Urlava


Si alzò dolorante ed ancora stordito volle rassicurarsi sulle condizioni di tutti i marinai.

Quindi, una volta verificato lo stato della nave si accomiato' e rimase a lungo nel suo ufficio.


Una volta tornato al suo posto diede ordine di recarsi presso il porto più vicino per i necessari interventi.


Si fermarono alcuni giorni e l'equipaggio ebbe modo, finalmente di prendersi un meritato riposo.


Quando ripresero la navigazione egli disse che sarebbero rientrati presto e scelse delle rotte più lunghe, ma sicure.

La buona stagione gli permise di affrontare il viaggio di ritorno serenamente ed in qualche occasione si sentì quasi un turista.


Gli capitava a volte dall'alto del suo cassero di fermarsi ad ammirare il mare e rimaneva  sorpreso dai  colori, che cambiavano ad ogni istante, lasciandolo ogni volta meravigliato, sorpreso di tanta bellezza.


Al mattino presto, prima che sorgesse il sole,  alzava gli occhi verso il cielo per osservare la sua stella preferita. Venere era lì,  splendente, meravigliosa;  così come l'aveva sempre vista.

Un giorno osservandola ripenso' a lei, alle sue parole, al loro lungo vissuto, alla sua bellezza. Guardò una foto che aveva sempre con sé nel portafogli e s'immalinconi'.


Resto' fermo a guardarla; aveva  la sensazione  di averla davanti,  di ascoltarla. La sentiva una parte di quella natura. Era certo che il  mare non sarebbe stato tale se lei non le avesse dato la sua luce.

Ed anche se raramente si lasciava andare, sapeva di amarla con tutto se stesso.


A volte si adagiava con lo sguardo lungo la linea dell'orizzonte immaginando di ritrovare il suo volto. In altre occasioni, nei giorni di bonaccia gli sembrava di riconoscere nello sciabordio delle onde che si infrangevano sulle murate della nave, la sua voce dolce.


Benché fosse un marinaio egli portava con sé in ogni istante, l'idea del ritorno.


Sapeva che un buon marinaio che fosse capace di amare ed avesse avuto la fortuna di conoscere la sua "Itaca"

era certamemente pronto ad affrontare  le possibili  contrarietà che il destino gli riservava. Che il viaggio sarebbe terminato  laddove aveva lasciato i sentimenti.


Così ogni giorno egli si sentiva   più forte e sicuro, certo che nessun Ciclope avrebbe potuto distruggerlo. Né Scilla e Cariddi avrebbero potuto  fermarlo.


In questo modo egli riuscì a vincere il fortunale e la bonaccia e quando decise di tornare,  dal suo viaggio  verso la sua "Itaca",   nell'ultima pagina del suo diario

scrisse:



Mia cara


ho visto luoghi e volti, ho incontrato persone di ogni tipo ed ho cercato di conoscerle.

Ho visto il mare e sono stato ammaliato dalla sua bellezza; ho gioito e sofferto.

Ho avuto paura, ma non ho mai abbandonato il mio timone, non ho mai perso la mia rotta.

Più volte ho creduto di morire ma ho pregato ed il Signore sempre mi ha offerto la sua ancora.

Ed oggi che sto tornando nelle acque della mia terra posso dire che i volti della natura possono essere straordinari,

ma si possono dimenticare. Che indubbiamente  un luogo può lasciare un ricordo o un emozione, ma non sarà mai sufficiente a riempire il vuoto di un'anima.

Che ogni essere umano ha chiuso in sé  un mondo, un universo, ma tutti hanno il medesimo desiderio di felicità ed  il destino dell'uomo è soltanto quello di amare.


Questo ti scrivo volgendo la mia preghiera al Signore:


"Fa che ogni nave conservi la sua rotta

e ogni navigante la sua fede.

Trattieni i venti e placa le tempeste:

nell'ora del pericolo

porta tutti a salvamento.


Conforta, o Signore, la nostra solitudine

con la voce dei ricordi familiari,

con la speranza del domani,

con la certezza del ritorno."



N.B. La preghiera è tratta dalla PREGHIERA DEL NAVIGANTE


(Marina Mercantile - di Padre Mario Mereu, 1965 -

La lapide di questa preghiera è conservata al Civico Museo Marinaro "G.B. Ferrari" di Camogli )

 
 
 

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